Love in translation: l’amore maturo raccontato dal jazz di Rosario Giuliani e Joe Locke
Bisognerebbe partire con un rammarico, per raccontare l’uscita fresca di stampa di questo “Love in translation” di Rosario Giuliani con Joe Locke, Dario Deidda e Roberto Gatto (VVJazz/Jando). Il rammarico di essere, l’Italia, uno dei riconosciuti epicentri nel mondo di musicisti jazz a cinque stelle, una miniera di eccellenze ostinatamente relegata al racconto minore sui media, così attenti al richiamo commerciale piuttosto che alla musica. Una doléance in qualche modo spontanea dopo aver ascoltato e riascoltato questo album.
Giuliani sceglie di celebrare la ventennale collaborazione con Joe Locke, probabilmente il più accreditato vibrafonista jazz contemporaneo, con un album straordinariamente lirico e compatto; è soprattutto la creazione di un’atmosfera di omogenea e rarefatta malinconia a rendere questa musica un manifesto dell’amore nelle sue possibili declinazioni: per la musica, per la vita, per le persone e, si direbbe, per tutto ciò che si è amato, si ama e che si è costretti a perdere durante il viaggio non richiesto su questa terra. E così, brani apparentemente distanti come “Duke Ellington’s sound of love” di Mingus o l’enigmatica “Can’t help falling in love” resa famosa da Elvis, diventano facce di uno stesso poliedro espressivo, che troverebbe nel “notturno” la sua zona d’elezione; così come anche Tamburo (a Marco Tamburini) e Raise Heaven (a Roy Hargrove), scritti e dedicati a due dei più fecondi trombettisti degli ultimi decenni, prematuramente scomparsi.
C’è una grande maturità di fraseggio, contenuto e mai pretestuosamente torrenziale, al servizio dei dieci brani di Love in translation, che accompagnano l’ascolto attraverso diverse grammatiche ritmiche (con una notevolissima Hidden force of love in sette) che i colori timbrici di Gatto e le soluzioni mai convenzionali di Deidda sottolineano con rara finezza di spirito.
Joe Locke
Si entra dentro l’ascolto restandone sedotti, quasi imprigionati, e se ne esce come da un frullatore di emozioni; c’è dentro tutta una tensione mai completamente risolta di linguaggi jazzistici, che ricorrono a moduli espressivi contemporanei senza mollare un attimo la tradizione dei “padri nobili”, che restano evidentissimi nella formazione sia di Giuliani che di Locke.
Un inno ad un sentimento (mai sentimentalismo) maturo, insomma, ricco di sfumature dolenti e di stupito incanto; la cifra ineliminabile ed irriducibile della vita, quel sentimento complesso, intraducibile come il titolo cui allude l’album: l’amore tradotto, in corso di traduzione e del quale si corre continuamente il rischio di perdere il senso più profondo. Fa quasi rabbia avere in casa tanta bellezza, senza poterle dare, con orgoglio, la prima fila che meriterebbe.
