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Giuliani e quel suono prima che diventi suono.

13 Aprile 2008 by porgy&jazz

Rosario Giuliani corre come un pazzo. Alla velocità del suo suono, decisamente. Arriva e scombina tutto. Standard? Sì, belli, ma aspetta, facciamo quelli più belli. Facciamo Tadd Dameron. E Wes Montgomery. E facciamo “Misterioso”. Beh, vuoi dargli torto?

Quando arriva sul palco si soffre. Un istante, ma si soffre. Vuole tutto avanti, incredibilmente avanti, e in effetti nei suoi dischi suonano così, eh, non c’è niente da fare. Ma basta capirlo. E anche per quattro musicisti che con lui non hanno mai suonato diventa una bella corsa questo concerto. Una corsa di quelle che ti spaccano ma poi hai i polmoni aperti, rigenerati, ti senti come se ogni poro della pelle incamerasse aria.

Giuliani fa una miliardata di note, e forse sì, forse ha dentro il demone del sassofonista, e ogni tanto va un pelino oltre. Ma cosa gli vuoi dire? Quando attacca “Dream house” mi vengono i brividi. E quando riduce il suono a nulla, quando dal sax esce solo il suo respiro, ed è un respiro lungo, non è un istante, è proprio un suono quello che sta cercando. Il suono del nulla, forse, o di tutto quello che c’è dentro il suo sax quando non è ancora suono. Forse cerca quello. E fa uno sforzo immane. Prova a cercarlo tu, il suono del nulla. Dev’essere un inferno.

E poi riprende. Alza il sax in alto con il braccio, questo piccolo gigante. Il sax arriva dove lui non può, ben oltre metri e centimetri, ovviamente. Ma è lui a farlo arrivare lì, e quando finisce il concerto glielo leggi in faccia.

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